sabato 7 gennaio 2012

Il leopardo, di Jo Nesbo

Harry Hole, poliziotto dimissionario, si trova a Hong Kong ben determinato a distruggere quel poco che resta della sua vita. Qui viene scovato dall'affascinante collega Kaja: in Norvegia si aggira uno spietato serial killer che, tra gli altri, ha ucciso anche un personaggio politico di secondo piano. Le autorità sono in subbuglio e due diversi corpi di polizia, in concorrenza per ottenere l'esclusiva sulle indagini per omicidio, vedono nel caso l'occasione per affossare definitivamente gli avversari, ma le indagini sono a un punto morto ed Harry sembra l'unico in grado di sbrogliare la matassa dell'intricato giallo.

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Harry Hole è un uomo distrutto, gliene sono successe di ogni nei libri precedenti e in quest'ultimo si può dire, citando Francesco Giuseppe, che nulla gli è stato risparmiato. Nell'arco dell'agonia del padre gravemente malato rischia la vita innumerevoli volte, salvandosi nei modi più assurdi e altrettante volte viene tradito da amici e conoscenti. Anche la trama gialla di riflesso è portata agli estremi. Io capisco che dopo Larsson tutti vogliano la scintilla, ma resto convinta che un buon giallista debba essere in grado di sorprendere il lettore garantendo la geometria interna del romanzo. Nelle estenuanti quasi ottocento pagine del Leopardo invece succede TUTTO: valanghe, esplosioni, eruzioni vulcaniche e poi viaggi in Africa, torture efferate, persone morte che non lo sono (e viceversa), legami familiari talmente contorti da rasentare il ridicolo. 
E per finire era una storia di corna servita con uno psicopatico per contorno. Non ci siamo.

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